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Tuesday, July 28, 2009

IL GIARDINIERE



The Constant Gardener
Se dovessi definire The Constant Gardener con un solo aggettivo, userei la parola "onesto".
Fin dalle prime sequenze capiamo, sentiamo, proviamo sulla nostra pelle la limpidezza e l'onestà, appunto, di questo progetto.
 
Innanzitutto, si sente pesantissima la mano (e la forza) del regista Fernando Meirelles. Chi di voi ha visto lo straordinario City of God sa cosa intendo. Un'idea ipertrofica, iperstilizzata, iper-realistica dell'Africa, sostenuta da un amore, anzi una passione viscerale per il dettaglio, per il primo piano, per lo sguardo dell'attore.
Meirelles è un grande regista, e una delle promesse più significative nel panorama cinematografico mondiale: anche questo film, tratto dal romanzo omonimo di John LeCarrè, porta in sè la firma feroce (anche se a tratti manierata) del regista.
L'impegno sociale e soprattutto civile è quello che rende questo film un'opera di spessore e di grande attualità: purtroppo, quello che diventa un plusvalore dal punto di vista della comunicazione sociale, non raggiunge un pari successo da quello cinematografico.
 
Il film va spesso in cortocircuito, si avvita su se stesso e non segue un sentiero ben definito. Il montaggio molto frammentato, e l'intrecciarsi non sempre fluido di due grandi ordini di idee non aiutano di sicuro nè la comprensione nè il godimento stesso della pellicola. Da una parte abbiamo infatti l'enorme, complessa e terrificante "questione Africa": commercio di medicinali scaduti, sperimentazione, sfruttamento umano, povertà, e tutto il coacervo di dolore e ingiustizia che fa sanguinare un intero continente. Dall'altra parte, invece, abbiamo una straordinaria storia d'amore tra i due protagonisti, tanto drammatica quanto vitale, coraggiosa e umanissima. L'equilibrio tra queste due macrostorie non regge i ritmi forsennati del racconto, e l'estrema complessità della vicenda lascia spesso il posto ad una comprensione (e ad uno sviluppo) superficiale dell'intero dramma.
 
Quello che però salva il film, e lo rende un'opera più che degna, sono le eccezionali interpretazioni degli attori. Ralph Fiennes dimostra, ancora una volta, di essere uno degli attori più raffinati e dotati di questi anni. Quest'uomo non sbaglia un colpo. Il suo Justin è una delle figure più appassionanti e appassionate del 2005, trasuda carisma, coraggio, devozione, eterno amore e gratitudine per la compagna. Un attore incredibile per una recitazione fiammeggiante ed autentica, sporca, dolorosissima, ma di una dignità e un'intensità come poche altre viste quest'anno. I suoi occhi blu oceano, su una pelle sporca e abbronzata dal sole africano, fanno di Ralph Fiennes e del suo personaggio una delle esperienze cinematografiche più umane e indimenticabili, di un romanticismo e di una forza lancinanti. E vi assicuro che Ralph Fiennes non è mai e poi mai stato tanto bello e fotogenico come in questo film..
 
Rachel Weisz è una forza della natura. Forse non sono molto obiettivo (il mio amore per Rachel è risaputo), ma questa donna è di una bellezza devastante, le basta un movimento del mignolo per irradiare la forza, la luce, il coraggio e la determinazione del suo personaggio. Ora, non so dirvi se sia davvero la Miglior Attrice Non Protagonista dell'anno (forse Maria Bello la batte), sta di fatto che la sua Tessa è un personaggio così passionale e vivo e concreto e umano, che raramente si vedo sullo schermo. Le mille facce del suo personaggio (in due ore di film affronta una gamma di emozioni vastissima, un range interpretativo fenomenale), e lo strano ma autentico rapporto con il marito, fanno di questo personaggio non un "carattere", ma una vera e propria trasposizione sul grande schermo di una persona. Non un persoonaggio, ma una persona.
 
Sta dunque nella forza e nella concretezza delle persone il merito di questo film. La fotografia di Charlone (candidato all'Oscar per il precednte City of God ) è ancora una volta significativa, giocata sui colori caldissimi e saturi dell'Africa, e su quelli sgranati e glaciali dell'Europa. Ma contributo fondamentale lo da la musica di Alberto Iglesias (collaboratore fisso di Almodovar), che reinventa completamente lo stile popolare africano, con connotazioni e sfumature fortemente global ed ethno-rock. Indimenticabile.
 
Il film insomma non si può considerare un completo successo, soprattutto dal punto di vista dello sviluppo narrativo, che affronta un tale vastità di questioni senza portarne a compimento nessuna. La fluidità del racconto non è garantita da una sceneggiatura non all'altezza, e il montaggio forsennato gioca molto (troppo) per dare un ritmo elettrico ad un film che trasuda morte e ingiustizia. Un'operazione non dissimile a quella fatta da Soderberg su Traffic, film molto più ruffiano e pop-olare (e meno "sincero") di The Constant Gardener, ma che guadagnava sicuramente nel ritmo del racconto e nella linearità dello sviluppo. Eppure il film di Meirelles non è un insuccesso soprattutto per l'incredibile energia dei suoi protagonisti, persone più che personaggi, che lottano con la forza dell'ideale, che affrontano la vita e la morte con l'indomito coraggio di chi è convinto che una sola giusta azione in un mare di corruzione e dolore sia davvero la chiave per salvare il mondo (e la nostra anima).
In una società fatta di superficialità, globalizzazione, menefreghismo, intolleranza e generale e indotta paura verso l'altro, Justin e Tessa sono due fari in una landa buia. The Constant Gardener è un film che gronda rabbia e disperazione, ma soprattutto è il film di cui oggi, noi esseri umani, abbiamo disperatamente bisogno.
 
VOTO: C+ 
 


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