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Saturday, November 7, 2009

LET THEM EAT CAKE!



 
M A R I E A N T O I N E T T E 
 
 
Marie Antoinette è tutto e il contrario di tutto.
Come la sua regina. Frivola, triste, partygirl, malinconica, divina, adorata come una Dea, detestata come una straniera, infine incredibilmente sola.
E come succede per ogni film di Sofia Coppola, faccio fatica adesso a raccogliere le idee, appena uscito dalla sala. Così come mi è successo per Le vergini suicide e ancora di più per Lost in translation (che ho davvero amato solo alla terza visione), anche per questa sua ultima opera non ho davvero la sensazione di aver colto ogni singola sfumatura, di aver posseduto chiaramente l'instabile essenza del tutto. I film della Coppola sono come la brezza estiva, li avverti, li annusi, li senti sfuggire tra le dita, senti il rumore del loro passaggio, ma devi fermarti a respirare, nel silenzio, per riuscire a coglierli in pieno.
 
Marie Antoinette è un affresco sfuggente, una monumentale rock-opera creata nella seta e nella delicata crinolina settecentesca, un immane sforzo produttivo per raccontare l'impalpabile esistenza della noia e solitudine, che sono le vere protagoniste di questa favola sorprendentemente moderna. Sofia Coppola racconta una storia che quasi incidentalmente appartiene alla vita della regina di Francia: Maria Antonietta è semplicemente una teen ager, un'adolescente. E' una tra le tante. Questo si rivela allo stesso tempo il grande pregio e il grande difetto del film: la metafora universale è bella ed efficace (non originalissima), ma forse spinta eccessivamente alle sue estreme conseguenze. Non aspettatevi un Barry Lyndon quindi: siamo anzi più dalle parti di Romeo + Giulietta di Baz Luhrmann. Il che significa musica modernissima (Aphex Twins,Air,Bow Wow Wow,Siouxsie and the Banshees,New Order,The Cure,The Strokes...), libertà espressive (in un'inquadratura vengono riprese chiaramente e volutamente le Converse All Star), recitazione moderna e antinaturalistica, sguardi in camera. I puristi alzeranno più di un sopracciglio, ma il gioco vale assolutamente la candela: prendere o lasciare.
 
Stilisticamente il film si pone nella linea già tracciata dai film precedenti della regista.
Lunghi silenzi, dialoghi ridotti al minimo, grandi e meravigliose sequenze, molti primi piani, ampiezza di respiro, generale freschezza e leggerezza di tocco, estrema delicatezza come cifra di stile. La fotografia del fidato Lance Acord è molto edulcorata, trasparente come il cristallo, con un gusto insolito per il colore e i toni tiepidi dell'autunno. Ma la visione nulla sarebbe senza il contributo essenziale di Milena Canonero ai costumi: sensazionale, una completa re-invenzione dello stile, del colore, della forma. Da Oscar. Aver girato all'interno di Versailles rende l'operazione incredibilmente suggestiva ed infinitamente autentica, e lo stridore che nasce dalla visione ultra moderna e pop della Coppola rende il tutto davvero originale e straniante. Ed un bravo! ai make up artists: un lavoro terrificante.
 
Non mi stancherò mai di dirlo, ma Kirsten Dunst rimane l'attrice più formidabile della sua generazione. Non me ne vogliano Scarlett Johannson & Co., ma la Dunst non ha eguali quanto a duttilità espressiva, a range interpretativo. Questa ragazza può tutto: dalla commedia frivola (Ragazze nel Pallone), alla rom-com (Wimbledon,Elizabethtown), al dramedy (Eternal Sunshine of the Spotless Mind), al fantasy (Spider-man), all'horror (Intervista col vampiro), Kirsten Dunst rivela delle doti ed un talento impagabile. E' solo questione di tempo: prima o poi una statuetta sarà sua. Nella parte di Maria Antonietta ha un tale carisma, una tale capacità di attrarre l'occhio umano che conquista, seduce, commuove. Incanta con uno sguardo, un sorriso mal celato, la malinconia amara. La sua recitazione è molto moderna, non scompare nel ruolo, ma lo re-interpreta come fosse una ricca e viziata teenager di Beverly Hills. Stupenda, e usa un tonico per la pelle che devo scoprire e possedere anche io. Il resto del cast soccombe al suo fianco: Jason Schwartzman è un adorabile Luigi XVI, Asia Argento un'odiosissima Madame Du Barry, e i vari comprimari fanno il loro sporco mestiere.
 
Nonostante l'Oscar preso come sceneggiatrice di Lost in Translation, non ho mai creduto che il grande pregio della regista sia nelle sue sceneggiature. Anche in questo caso la scrittura non mi è sembrata così incisiva o meritevole di qualche citazione o particolare encomio. Quello che conta davvero è lo stile formidabile, la sicurezza nella direzione, la visione che sta dietro l'intero progetto.
Forse dovranno passare giorni, forse settimane, e di sicuro ci saranno altre visioni prima che un giudizio onesto e ponderato possa prendere davvero corpo. Marie Antoinette è fatto così, un oggetto delicatissimo, sottile come carta velina, prezioso come un ricordo dimenticato. Può spiazzare, annoiare, sedurre, conquistare, far innamorare, e può anche tutte queste cose assieme. E' qualcosa di strano, di rischioso, di coraggioso. E' fatto della stessa materia dei sogni: in questo caso è come il sogno di una ragazza che non è mai diventata adulta, e non è mai stata bambina. Triste, ma anche pieno di speranza.
 
 
VOTO (prima impressione): B
  


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